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sabato 8 marzo 2014

NON CHIAMATEMI DONNA...

 
 
Caen, 1835
 
 
Cara madre,
perché quel che è natura appare ai vostri occhi plebeo? Fu lo stesso per me nel vostro grembo? Fui per voi vergogna?
Di amore vi siete svestita. Cieca, non avete neanche provato ad allungare la mano. Mi accusate di volgarità solo per aver appannato il vostro disegno. Solo per essere sfuggita all'elegante gabbia, che pur sempre carcere resta.
Da buona istitutrice avete fatto di me una bambola aggraziata da mostrare e prostrare. Porto ancora i segni ai polsi delle corde animate da voi esperta marionettista.
Non rinnego il mio esser donna, rinnego il peso che ne rallenta il passo; il respiro spezzato dal diniego.
Io voglio esser rosa con le sue spine, viver d'amore e morire a spada tesa. Voglio esser saetta e illuminare l'oscuro. Infuocare il ramo volto al cielo e esser cicatrice.
Vi prego non chiamatemi più Isabelle, non chiamatemi donna, chiamatemi Libertà. Perché di essa mi nutro e se sarà necessario, in nome suo, affronterò la morte.
 
Colei che mai più vi apparterrà
 


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